A proposito di intolleranze alimentari

La Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCeO) ha voluto promuovere e sostenere la stesura di un documento condiviso con le Società Scientifiche Italiane di Allergologia ed Immunologia Clinica (AAITO, SIAAIC, SIAIP) articolo pubblicato sul “portale.fnomceo.it” su news ed eventi in data 10-10-2015”, tracciando su tali patologie di grande attualità e diffusione, i percorsi diagnostici e terapeutici fondati  su principi di efficacia, di sicurezza e appropriatezza, che traggono le basi dalle evidenze scientifiche disponibili (linee  guida  diagnostico-terapeutiche  accreditate) a garanzia della salute dell’assistito, della collettività, della professionalità del medico e della sostenibilità del SSN.

Tematiche, “come relaziona nella prefazione la Dr.ssa Roberta Chersevani, Presidente FNOMCeO” molto sentite nella popolazione generale e nella classe medica, dove purtroppo si è creata molta confusione non solo nella terminologia ma soprattutto nell’inquadramento e nell’approccio diagnostico; in modo particolare per quanto riguarda i percorsi diagnostici ove si sta assistendo, negli ultimi anni, ad una crescente offerta di metodologie diagnostiche non scientificamente corrette e validate nel campo delle intolleranze alimentari. Al riguardo si allega tra virgolette quanto riportato da questo Documento proprio sulle Intolleranze alimentari e sui Test complementari e alternativi.

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Allergie e Intolleranze Alimentari

Documento Condiviso

“Intolleranze alimentari”

Che cosa sono

Le intolleranze alimentari provocano sintomi spesso simili a quelli delle allergie, ma non sono dovute a una reazione del sistema immunitario, e variano in relazione alla quantità  ingerita  dell’alimento  non  tollerato.  Una  dieta  scorretta  o  alterazioni gastrointestinali  come  sindrome  da  intestino  irritabile,  gastrite,  reflusso  gastro- esofageo,    diverticolite,    calcolosi    colecistica    determinano    una    sintomatologia attribuita, spesso erroneamente, all’intolleranza alimentare.

Le intolleranze alimentari non immuno-mediate sono spesso secondarie quindi ad altre condizioni internistiche la cui ricerca è il vero momento diagnostico: le intolleranze alimentari si suddividono, secondo la classificazione delle Reazioni Avverse ad Alimenti, in intolleranze da difetti enzimatici, da sostanze farmacologicamente attive e da meccanismi sconosciuti come le intolleranze da additivi.

L’intolleranza al lattosio,

la più diffusa tra le intolleranze da difetti enzimatici nella popolazione generale, è causata dalla mancanza di un enzima chiamato Lattasi, che consente la digestione del lattosio, uno zucchero contenuto nel latte, scindendolo in glucosio  e  galattosio.  Interessa  circa  il  3-5%  di  tutti  i  bambini  di  età inferiore  ai  2  anni.  Nel  periodo  dell’allattamento  i  casi  di  intolleranza  sono  quasi sempre  secondari  a  patologie  intestinali  e  si  manifestano  con  diarrea,  flatulenza  e dolori addominali.

Anche nell’individuo adulto si può manifestare tale intolleranza, ed è dovuta principalmente al cambiamento delle abitudini alimentari e alla diminuzione dell’attività lattasica. Non tutti i soggetti con deficit di lattasi avvertono sintomi quando assumono un alimento contenente lattosio, perché esistono diversi gradi di deficit dell’enzima specifico. E’ stato dimostrato che la presenza e disponibilità della lattasi aumenta in relazione alla quantità di latte consumato.

Le intolleranze farmacologiche

sono determinate dall’effetto farmacologico di sostanze contenute in alcuni alimenti, quali l’Istamina (vino, spinaci, pomodori, alimenti in scatola, sardine, filetti d’acciuga, formaggi stagionati), la Tiramina (formaggi stagionati, vino, birra, lievito di birra, aringa), la Caffeina, l’Alcool, la Solanina (patate), la Teobromina (tè, cioccolato), la Triptamina (pomodori, prugne), la Feniletilamina (cioccolato), la Serotonina (banane, pomodori).

Mirtilli, albicocche, banane, mele, prugne, patate, piselli, possono contenere sostanze con un’azione simile a quelle dell’acido acetilsalicilico e quindi essere responsabili di  reazioni  pseudo-allergiche.  La loro  effettiva  importanza  clinica  è probabilmente sovrastimata.

Le intolleranze da meccanismi non definiti

riguardano reazioni avverse provocate da additivi quali nitriti, benzoati, solfiti, per i quali non è stato ancora possibile dimostrare scientificamente un meccanismo immunologico. La loro effettiva importanza clinica va attentamente valutata, con diete di esclusione e reintroduzione, prima della prescrizione di una dieta definitiva di eliminazione.

Quando sospettarle

Le intolleranze alimentari si presentano principalmente con sintomi localizzati all’apparato   gastro-intestinale,   ma   possono   coinvolgere   anche   la   cute   e   più raramente altri apparati.

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La figura sintetizza i principali quadri clinici correlabili a intolleranza alimentare.

 

La diagnosi

Poiché le intolleranze alimentari possono manifestarsi con sintomi in parte sovrapponibili a quelli dell’Allergia Alimentare, un’attenta anamnesi riveste un ruolo fondamentale nel primo approccio al paziente. L’esclusione di allergie alimentari è il primo evento diagnostico, cui segue la necessità di valutare se presenti condizioni internistiche che possono essere accompagnate dalle intolleranze alimentari non immuno-mediate. Per quanto riguarda le intolleranze da difetti enzimatici e quindi l’intolleranza al Lattosio, la diagnosi si può effettuare facilmente con il Breath Test specifico, che valuta nell’aria espirata i metaboliti non metabolizzati e assorbiti. La diagnosi di intolleranza farmacologica è essenzialmente anamnestica, mentre per le intolleranze da meccanismi non definiti può essere utile il Test di Provocazione, cioè la somministrazione dell’additivo sospettato (nitriti, benzoati, solfiti ecc.).

In sintesi l’iter diagnostico di un paziente con sospetta intolleranza alimentare dovrebbe prevedere un approccio multidisciplinare che coinvolga step by step lo specialista allergologo, gastroenterologo, per escludere patologie gastrointestinali, ed eventualmente dietologico, per la correzione delle abitudini dietetiche.

Test utili nell’accertamento di una intolleranza sono:

  • Breath Test per glucosio o lattulosio per valutazione della SIBO (sindrome da sovracrescita batterica intestinale);
  • Breath Test per lattosio per valutare l’intolleranza al lattosio.

 

Approfondimenti

Diagnosi differenziale delle intolleranze alimentari: aspetti particolari.

La sindrome sgombroide

si inquadra nell’ambito delle reazioni avverse ad alimenti come reazione di tipo tossico. E’ caratterizzata dalla comparsa di manifestazioni in parte  sovrapponibili  all’allergia  e  in  parte  all’intolleranza,  come  orticaria  o  sintomi gastro-intestinali,    tuttavia    non    è    dovuta    a    un    meccanismo    immunologico, tantomeno  alla  presenza  delle  IgE  che  sono  responsabili  delle  allergie.  Si  tratta infatti di un’esposizione eccessiva ad amine biogene (prima fra tutte, l’istamina) che, favorite dal metabolismo batterico, si liberano in grandi quantità durante il processo di  putrefazione  del  pesce,  in  particolare  sgombro  e  tonno.  Per questo  motivo,  la sindrome  sgombroide  – che  non  essendo  un’allergia  può  interessare  chiunque  –colpisce se si consuma pesce non conservato in maniera idonea.

La sindrome da sovracrescita batterica intestinale (SIBO)

è caratterizzata da livelli di flora batterica eccessivamente elevati nell’intestino tenue. Dal punto di vista clinico la contaminazione batterica intestinale si manifesta con sintomi quali dolore, meteorismo, diarrea, ed eventuali segni di malassorbimento. L’eradicazione della sovracrescita batterica del piccolo intestino determina la scomparsa di tale sintomatologia nella maggior parte dei pazienti. La diagnosi non invasiva di SIBO può essere effettuata con test del respiro (Breath Test) al glucosio. In alcuni casi la sintomatologia è simile a quella della sindrome dell’intestino irritabile (IBS), un comune disordine cronico caratterizzato da dolore addominale, meteorismo e alterazione dell’alvo. Per questo motivo la SIBO deve essere ricercata in pazienti con un quadro clinico compatibile con la sindrome dell’intestino irritabile. Alterazioni anatomiche o della motilità intestinale frequentemente predispongono all’insorgenza  di  SIBO,  come  del  resto  le  patologie  sistemiche  che  coinvolgono  il tratto  gastroenterico.  Tra  queste  ricordiamo  il  Diabete  Mellito,  l’Ipotiroidismo,  la Sclerodermia  e  l’Acromegalia  che,  attraverso  differenti  meccanismi  fisiopatologici, determinano    un’alterazione    della    motilità    intestinale.    Pazienti    affetti    da Sclerodermia o Acromegalia presentano un tempo di transito oro-cecale più lungo rispetto ai controlli sani e un’aumentata prevalenza di SIBO, associata a comparsa di sintomi  intestinali  tra  cui  meteorismo,  flatulenza  e  addominalgie.  L’eradicazione della   sovracrescita   batterica,   effettuata   con   l’uso   di   antibiotici,   migliora   la sintomatologia in questi pazienti.

La contaminazione batterica del piccolo intestino può inoltre condurre allo sviluppo di una sindrome da malassorbimento con importanti ripercussioni a carico dell’intero organismo. La SIBO infatti può determinare deficit di tutti i principali nutrienti (proteine, lipidi, carboidrati, vitamine liposolubili, vitamina B12).

Inoltre, è stato posto l’accento sul possibile ruolo della sovracrescita batterica intestinale nello sviluppo della steatosi epatica non alcolica. Infine, è stata riscontrata un’associazione tra la SIBO e la Rosacea, una comune patologia infiammatoria che colpisce la cute del viso. In questi casi l’eradicazione della SIBO ha determinato la completa guarigione delle lesioni cutanee in dei pazienti, con una differenza statisticamente significativa rispetto ai pazienti trattati con placebo.

La contaminazione batterica intestinale può inoltre influenzare i risultati del Breath Test al lattosio e quindi dare un falso positivo come risultato dell’esame. L’eradicazione della contaminazione batterica intestinale attraverso cicli di antibiotico specifico (Rifaximina) e successiva nuova colonizzazione con probiotici, normalizza i valori del Breath Test per malassorbimento di lattosio nella maggior parte dei pazienti affetti da SIBO.”

Bibliografia essenziale

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“Test complementari e alternativi”

 

test intolleranze alimentari

Si tratta di metodiche che, sottoposte a valutazione clinica attraverso studi controllati, si sono dimostrate prive di credibilità scientifica e validità clinica. Pertanto non sono assolutamente da prescrivere.

E’ sempre più frequente il ricorso, da parte dei pazienti a test “alternativi” che si propongono di identificare con metodiche diverse da quelle basate su evidenze scientifiche i cibi responsabili di allergie o “intolleranze” alimentari. Quest’ultimo termine, nella sua accezione più rigorosa, vuole indicare ogni reazione avversa riproducibile conseguente all’ingestione di un alimento o a componenti (proteine, carboidrati, grassi, conservanti). La definizione quindi comprende reazioni tossiche, metaboliche e allergiche.

Purtroppo il termine intolleranza è sempre più frequentemente interpretato in senso generico, fino anche a indicare un’avversione psicologica nei confronti di questo o quel cibo.

La diffusione nell’utilizzo di tali metodi non validati, o più frequentemente studiati e ritenuti  inefficaci,  offerti  in  larga  misura  sul  mercato,  è  legato  a  molteplici  fattori: campagne  pubblicitarie  su  vari  canali  d’informazione;  sfiducia  nell’Evidence  Based Medicine  (EBM,  Medicina  basata  sulle  evidenze  scientifiche);  ricerca  di  miglior rapporto  medico-paziente;  ricerca  di  metodi  naturali  “soft”  nella  diagnosi  e  cura delle più svariate malattie; allergia /intolleranza alimentare vissuta come causa delle più   svariate   patologie…   Un’ulteriore   sovrastima   viene   dall’attribuzione   della patogenesi   allergica   a   svariate   patologie   (emicrania,   colon   irritabile,   orticaria cronica,  sindrome  della  fatica  cronica,  sindrome  ipercinetica  del  bambino,  artriti siero-negative,  otite  sierosa,  malattia  di  Crohn),  anche  se  non  esistono  evidenze scientifiche in proposito.

Nel Position Paper stilato dall’AAITO nel 2004 viene fatta un’attenta analisi dei test“alternativi “ presenti in commercio, indicando per ognuno le criticità presenti nella metodica stessa. Esistono metodiche alternative “in vivo” ed in vitro.

 DIFFIDARE da chiunque proponga “TEST DIAGNOSTICI di INTOLLERANZA ALIMENTARE”, per i quali MANCANO evidenze scientifiche di attendibilità.!

  • I TEST NON VALIDATI SONO:
  • Dosaggio delle IgG-4;
  • Test Citotossico;
  • Alca Test;
  • Test Elettrici (Vega Test; Elettro-agopuntura di Voll; Bioscreening; Biostrengt Test; Sarm Test; Mora Test);
  • Test Kinesiologico; Dria Test; Analisi del capello; Iridologia; Biorisonanza; Pulse Test; Riflesso Cardiaco Auricolare.

Leggere il DECALOGO allegato pubblicato dalle Maggiori Società Scientifiche, dalla Federazione dell’Ordine dei Medici e dal Ministero della Salute.!!  – Clicca qui per leggerlo

Test “in vivo“

Test di provocazione-neutralizzazione intradermico

Razionale

Può essere definita una tecnica sia diagnostica che terapeutica. Si basa sulla somministrazione per via intradermica dell’allergene o di altre sostanze e sulla successiva osservazione del paziente per un periodo variabile da 10′ a 12′ per valutare la comparsa di qualsiasi tipo di sintomatologia. Non ci sono limiti circa numero, gravità e tipologia di sintomi provocati. Questo test differisce profondamente dal test di provocazione specifico con allergene, che fa parte del bagaglio diagnostico dell’allergologia tradizionale: infatti nei test di provocazione che vengono eseguiti in ambito allergologico, vengono di norma testati allergeni singoli, a dosaggi crescenti e sempre compatibilmente con la storia clinica del paziente, monitorando la comparsa di sintomi ben precisi e valutabili con indagini strumentali (es. rinomanometria, spirometria…) ben oggettivabili.

Nella metodica alternativa in oggetto, qualsiasi sintomo, anche aspecifico, è giudicato segno d’intolleranza a quell’allergene.

Sono stati fatti numerosi studi, di cui i primi non erano controllati con placebo e quindi non attendibili. La letteratura relativa a questo test è solo descrittiva e l’efficacia viene supportata da case reports. La critica principale a questo studio viene da un ventaglio di sintomi che mal si accorda con la singola reazione a un alimento.

Da non trascurare è la potenziale pericolosità del test (essendo comunque una somministrazione s.c. di un eventuale allergene!) che ha scatenato un episodio di anafilassi in un soggetto affetto da mastocitosi.

Test di provocazione‐neutralizzazione sublinguale

Attualmente la tecnica consiste nel porre a livello sublinguale tre gocce di un estratto allergenico acquoso o glicerinato (1/100 peso/volume) e, come per la provocazione intradermica, nella valutazione di eventuali reazioni che compaiono entro un tempo massimo di 10′. Quando l’esaminatore ritiene di essere in presenza di una risposta positiva, somministra al paziente una dose di neutralizzazione di una soluzione diluita (es. 1/300.000 peso/volume) dello stesso estratto utilizzato nella provocazione.

La sintomatologia scatenata dalla provocazione dovrebbe regredire con un regredire con un tempo di latenza analogo a quello della fase di scatenamento. In Italia si è sviluppato un test che si ispira sia a questa metodica che alla kinesiologia applicata (trattata   successivamente),   chiamato   DRIA-test   e   proposto   dall’Associazione   di Ricerca  Intolleranze  Alimentari.  In  questa  variante  del  test  la  somministrazione sublinguale  dell’allergene  è  seguita  da  una  valutazione  della  forza  muscolare  per mezzo di un ergometro. Il test è considerato positivo quando compare una riduzione della forza muscolare entro 4′ dall’apposizione sublinguale dell’estratto. Il test è stato introdotto già nel 1944; gli studi successivi non sono mai stati controllati con Placebo e pertanto giudicati non attendibili. In particolare il Food Allergy Committee dell’American College of Allergists ha valutato consecutivamente per due anni, nel 1973 e nel 1974 l’uso di questo test giungendo alla conclusione che non è in grado di discriminare l’estratto alimentare dal placebo, e ne ha quindi sconsigliato l’utilizzo nella diagnostica delle allergopatie.

dria test

 

Kinesiologia Applicata

Questa diagnostica dell’allergia alimentare (utilizzata soprattutto da chiropratici) si basa su una soggettiva misurazione della forza muscolare. Il paziente tiene con una mano una bottiglia di vetro che contiene l’alimento da testare, mentre con l’altra mano spinge contro la mano dell’esaminatore. La kinesiologia-applicatapercezione da parte di quest’ultimo di una riduzione della forza muscolare indica una risposta positiva e pertanto un’allergia o intolleranza nei confronti dell’estratto contenuto nel recipiente. Alternativamente la bottiglia può essere posta sul torace del paziente o vicino allo stesso, senza tuttavia che avvenga un contatto diretto fra l’estratto di cibo e il soggetto da esaminare.

Non è mai stato documentato un interessamento dell’apparato scheletrico in corso di reazioni allergiche, inoltre il fatto che l’allergene non sia posto a diretto contatto del soggetto ma con l’intermezzo della bottiglia esclude ogni possibile spiegazione razionale.

 

 

 

Test elettrodermici (EAV elettro agopuntura secondo Voll): Vega test, Sarm test, Biostrenght test e varianti

Razionaletest elettrodermici

Questo tipo di diagnostica è utilizzata da alcuni decenni in Europa e più limitatamente anche negli Stati Uniti. Si è sviluppata a partire dalle osservazioni dell’elettroagopuntura secondo Voll sulle variazioni del potenziale elettrico in relazione al contatto con alimenti “non tollerati” o “nocivi”.

Esistono molti tipi di apparecchiature bioelettroniche non convenzionali che funzionano  in  modo  differente,  ma  in  tutti  questi  sistemi  l’organismo  viene  a trovarsi in un circuito attraverso il quale sono fatte passare deboli correnti elettriche (dell’ordine di circa 0.1 V, 7-15 mA, 7-10 Hz) oppure specifici stimoli elettromagnetici ed elettronici.

L’uso di apparecchi apparentemente sofisticati fa nascere nel paziente l’opinione che tale diagnostica sia sorretta da un’avanzata tecnologia. Peraltro il principio che una reazione allergica modifichi il potenziale elettrico cutaneo non è mai stato dimostrato. Applicazione frequentissima di queste metodiche è rappresentata dalle malattie allergiche. Vari studiosi hanno uniformemente osservato l’incapacità di tali metodiche di identificare gli allergeni responsabili per cui tale campo di applicazione dovrebbe essere escluso.

Biorisonanza

La Biorisonanza si basa sulla convinzione che l’essere umano emetta onde elettromagnetiche che possono essere buone o cattive. La terapia con Biorisonanza usa un
apparecchio che è considerato in grado di filtrare le onde emesse dall’organismo e rimandarle “riabilitate” al paziente. Onde patologiche vengono rimosse con questo processo e in questo modo può essere trattata una malattia allergica. Sfortunatamente è stato dimostrato che l’apparecchio in commercio non è in grado di misurare quel tipo di onda elettromagnetica coinvolta. Due studi recenti, effettuati in doppio cieco non sono stati in grado di dimostrare alcun valore diagnostico o terapeutico della biorisonanza sia in soggetti adulti con ribiorisonanzanite allergica che in una popolazione pediatrica affetta da eczema atopico.

 

 

 

 

 

Altri Test “In Vivo”

Iridologia;  AnalisiDel Capello;  Pulse Test;  Strenght Test;  Riflesso Cardio Auricolare

Questi test non hanno dimostrato efficacia diagnostica o, peggio, hanno già dato dimostrazione di inefficacia diagnostica e quindi anche la SIAIP, nel recente documento “Choosing Wiseley, le cose da fare ma soprattutto non fare“, comparso sulla rivista RIAIP di allergologia pediatrica a marzo 2014 ne ha fermamente sconsigliato l’utilizzo nella diagnosi di allergia alimentare.

 

Test “in vitro“

Poiché molti pazienti ritengono che i loro disturbi siano legati all’assunzione di determinati alimenti, che spesso non riconoscono, i test “in vitro“ di rapida esecuzione rappresentano un mercato in continua espansione, e vengono offerti al pubblico sotto nomi diversi e molto accattivanti, sia nelle farmacie che in laboratori privati o a volte anche convenzionati. La diffusione di tali metodiche è affidata a riviste non scientifiche, Internet, a volte anche altri media; il prezzo oscilla da 70 /80 fino a 150/200 euro. Il fatto di essere un esame “sul sangue” genera nell’utente la convinzione di aver effettuato un esame diagnostico di alta affidabilità e riproducibilità. Due sono le metodiche che vengono di solito utilizzate: Il Test di Citotossicità e la ricerca di IgG4 specifiche.

Test Citotossico

Razionale

Proposto per la prima volta nel 1956, e quindi cronologicamente prima della scoperta delle IgE, questo test si basa sul principio che l’aggiunta in vitro di uno specifico allergene al sangue intero o a sospensioni leucocitarie comporti una serie di modificazioni morfologiche nelle cellule fino alla loro citolisi.  Nel test viene fornita una scala semiquantitativa che ha nella lisi cellulare l’alterazione  più  significativa.

In  tempi  più  recenti  è  stata  anche  proposta  una versione   automatizzata   del   test,   che   si   basa   sul   principio   dei   coulter-counter (ALCAT).

In numerosi studi successivi, è stata dimostrata la non riproducibilità del test, che non riesce a discriminare i pazienti effettivamente allergici dai negativi o risultati diversi nello stesso paziente in momenti diversi.

Questo per lisi cellulare aspecifica, per interpretazione soggettiva dei risultati, per variazione nelle condizioni di esecuzione del test.

La metodica successiva automatizzata non ha dato risultati migliori, per cui l’American Academy of Allergy ha concluso che il test non è affidabile nella diagnostica allergologica e per questo test non è prevista negli Stati Uniti la rimborsabilità

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Dosaggio delle IgG 4

Tale metodica, di facile accesso in farmacie o laboratori di analisi, è attualmente un esame molto praticato. In realtà numerosi studi scientifici hanno chiaramente dimostrato che la ricerca delle IgG4 nella diagnostica delle allergie alimentari non è un test affidabile. Infatti è stato ampiamente dimostrato che il dosaggio delle IgG4 non distingue i soggetti con allergia vera IgE mediata, con conseguente grave rischio di reazione qualora non siano individuati correttamente i cibi responsabili.D’altra parte, positività di tipo IgG4 verso allergeni alimentari sono state di comune riscontro in sieri di pazienti, senza una correlazione con la storia clinica.

Il riscontro di IgG4 positive per un alimento indicano una normale risposta del sistema immunitario ad una prolungata esposizione ad allergeni alimentari.

Alla luce di tali dati, le principali Società Scientifiche di Allergologia e Immunologia Clinica (EEACI-AAAI-CSACI) sono giunte concordi ad affermare che “il dosaggio delle IgG4 specifiche NON è rilevante nella diagnostica delle  Allergie  Alimentari,  e  che quindi tale percorso non deve essere intrapreso nel work-up diagnostico di  tali patologie”.

Al termine di questa breve carrellata sulle metodiche “alternative” e la loro grande diffusione di utilizzo, occorre fare alcune riflessioni.

Tali metodiche non hanno  basi  scientifiche  dimostrate,  in  controtendenza  con  la moderna Medicina, dove si cerca di creare percorsi diagnostici e terapeutici “EBM”; pur  essendo  in  uso  da  anni,  non  ci  sono  studi  controllati  in  doppio  cieco  che  ne dimostrino l’efficacia. Esistono invece dimostrazioni della loro inefficacia.

Il  rischio  di  un  utilizzo  indiscriminato  di  metodologie  non  comprovate,  come autodiagnosi da parte del paziente o da Medici non esperti della materia, può condurre a gravi ripercussioni sulla salute del paziente.

Si pensi ad esempio al ritardo di crescita e malnutrizione in bambini che non seguono una corretta alimentazione se privati di alimenti fondamentali, senza una reale indicazione clinica; il mancato riconoscimento di un allergene pericoloso per la vita del paziente; ancora peggio, il rischio di un ritardo diagnostico di patologie più gravi, non riconosciute perché considerate “intolleranze alimentari” (Senna G. Bonadonna P. et al.; Riv. Imm. e All. Pediatrica, Dic. 2004).”

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Tabella: Principali test complementari e alternativi privi di validità per la diagnosi di allergie e intolleranze alimentari.

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